mercoledì 27 gennaio 2016

Stuck

Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho dormito?Ho così sonno che mi addormenterei qui , tra la terra smossa dai più grandi che zappano tutto il giorno in qualsiasi condizione, lo farei ma vorrebbe dire addormentarmi per sempre prima del dovuto e tra dormire e vivere c’è una bella differenza anche qui.
Per ora preferisco vivere.
Voglio vedere la mia mamma, mi manca, ho bisogno di lei e voglio anche il mio papà.Ogni tanto mi saluta ancora quando attraversa la zona comune, è così cambiato dall’ultima volta, non ha più i suoi bei capelli castani, è pelato, come me, come mamma, come tutti quanti quelli che stanno qui, è anche dimagrito ma d’altro canto lo siamo tutti costretti ad ingoiare aria e polvere sotto il sole o la neve per una misera cucchiaiata di acqua sporca che puzza di marcio e non sa di niente.
Mi manca il cibo vero, quello dei pranzi domenicali, delle feste o delle domeniche pomeriggio passate al parco quando tutto era così felice, tutto era così normale e sereno.
Quanto mi mancano quei giorni e quanto mi fa male ricordarli.
Voglio tornare a casa mia, nella mia stanza, con i miei giochi e Leonard, la mia scimmia di peluche sul cuscino del letto pronta a rallegrarmi la giornata, qui è tutto così grigio.
Il cielo, l’asfalto, le divise, le mie mani, i miei occhi.
Siamo animali sofferenti che si trascinano giorno dopo giorno per una strada che è già segnata per tutti, siamo soli in questo posto sperduto e isolato dove la gente non vede, non sente e non parla.
Nessuno qua parla più, a volte capita che qualche ragazzo più grande racconti di vecchi romanzi russi che gli sono stati assegnati alle superiori, non abbiamo molto tempo per parlare.
Qui al Campo è tutto uguale: ti buttano giù dal letto quando gli gira, ma questo non cambia molto le cose visto che non si riesce a chiudere occhio tanta gente c’è nelle brande delle baracche, ti picchiano se non stai attento o non sei abbastanza veloce e non si risparmiano se sei un bambino, non gli importa chi sei, per loro sei uno dei tanti, sei uno stuck, un pezzo, un numero e ti massacrano così come sei.
Non fa la differenza, conta solo stare buoni e aspettare il proprio momento.
Io non ce la faccio a restare al mio posto mentre a due passi da me uccidono qualcuno, una volta è successo e per poco non ci ho lasciato le penne ma sembro essere simpatico ad uno dei comandanti che mi ha rispedito in baracca con il labbro spaccato, un occhio gonfio e nero e un taglio profondo sopra il sopracciglio.
Ero ferito ma ero vivo e mi bastava questo.
Non so quanto tempo passerà ancora, forse ore, giorni, mesi, anni.
Non voglio più stare qui, voglio riavere indietro la mia famiglia, voglio la mia casa.
Non voglio più essere ebreo.
Non lo voglio da quando ci hanno trasferito nel ghetto, ci hanno rubato tutto: soldi, casa, gioielli e la dignità.
Non voglio neanche essere un tedesco, io gli sputerei in faccia a quelli, li prenderei a calci e gliela farei vedere io, ma sono solo un bambino, non posso farci niente.
Ogni tanto si sentono i tedeschi parlare, sono così strani, urlano e fanno versi e sputano ad ogni parola e sono vestiti di odio e  di rabbia.
Perchè ci odiano così tanto?
L’ho chiesto molte volte a papà ma lui ha sempre abbassato la testa e indicato il suo braccio dove era cucita quella maledetta stella.
Eravamo inferiori per loro e per talmente tante persone che arrivavamo a crederlo anche noi.
Ci piegavamo al nemico.
Avevamo paura.
Io ne ho ancora tanta.
I tedeschi parlano poco della guerra vera, quella fuori di qua, perchè anche questa è guerra, dopotutto ci uccidono uno alla volta come su un fronte.
Hanno paura degli alleati, i tedeschi dicono che siano troppo vicini e potrebbero scoprirli e liberarci.
Da quando ho sentito quelle parole ogni sera ci spero un po’ di più, inizio quasi a crederci.
Voglio andarmene e lasciarmi questo carcere alle spalle, prendere una nuova strada e diventare una persona migliore di quello che sono questi qua.
Ho tanto sonno, sento le gambe cedermi a poco a poco e il mio corpo esile scivolare sempre più verso terra, non deve succedere, non può succedere così.
Non posso morire.
Non voglio morire.
Non voglio.
Non sarò altra cenere nel vento.
Tengo gli occhi aperti a stento, vedo il mio vicino che mi sorregge, ho fame, ho freddo, ho bisogno di abbracciare i miei genitori un’ ultima volta.
Non posso andarmene così, nel buio, nel silenzio, nell’oblio e nella solitudine.
Non posso andarmene sotto questo cielo grigio, con questo odore di terra, aria e sangue.
Non posso, ma è destino.
Chiudo gli occhi e mi abandono, non voglio sentire dolore, sono solo un bambino, chi vorrebbe sentire dolore.Penso alla mia piccola vita, alla fatica, all’ingiustizia e spero che anche dal cielo possa riuscire a fare la differenza.
Sono pesante e leggero.
Sentò delle urla fuori, nel cortile, passi affrettati e diverse lingue, distrattamente vedo il gioco di luci ed ombre, ma io sono steso lì, a terra, da solo.
Stringo forte gli occhi e sento il tocco di una mano sulla mia guancia.
Mi aspetto degli schiaffi, magari pensano sia uno di quelli che finge di essere morto per salvarsi, e invece no.
La mano è calda e morbida, gentile e delicata.
Mi accarezza a lungo come ad infondermi un po’ di coraggio.
Schiudo gli occhi e respiro debolmente.
La vedo, è mia madre ma non ci sono soldati intorno a lei.
Non sono tedeschi ma altri.
Festeggiano, esultano e non capisco cosa ci sia di così importante per cui valga la pena correre e saltare e ridere e cantare in russo.
Russo?
Ecco perchè cantano e sono felici.
Russi.
Sorrido a mia madre e lei mi sussurra all’orecchio “Libertà” e “Siamo liberi” e ancora una volta “E’ finita.E’ tutto finito”.
Per un attimo non ci credo ma poi le stringo la mano.
Ho così sonno ma non riesco a fare altro che rimanere sveglio.



martedì 19 gennaio 2016

Recensione film Piccolo Principe

L’ESSENZIALE E’ INVISIBILE AGLI OCCHI

Il Piccolo Principe affascina da decenni grandi e piccini per la sua storia speciale, semplice, diretta, una storia che agli occhi di molti può sembrare banale ma che, se si guarda con il cuore, ha tutto un altro sapore.
Alcuni l’avranno letta magari per compito durante la scuola, altri per il piacere di scoprire una nuova avventura, altri ancora seguendo i pareri della massa che lo reputa ormai come best seller della letteratura moderna.
Il successo del Piccolo Principe, di Antoin de Saint-Exupery, probabilmente è dovuto proprio al grande coinvolgimento di più fasce di età nella sua storia, basti pensare che è stato definito da lui un libro per bambini indirizzato agli adulti, perchè nel suo racconto emerge un lato del mondo dei “grandi” che molti vogliono ignorare e nascondere.
Sono proprio gli adulti i protagonisti sottintesi della vicenda, quegli adulti che, come dice il Piccolo Principe, “sono esseri proprio bizzarri ”, così concentrati sul proprio lavoro, sui beni materiali, gli averi e disattenti allo stesso tempo sulle cose importanti come l’amore, l’amicizia, la famiglia.
Inizia così, nella trasposizione cinematografica di Mark Osborne, la storia di Piccola Ragazza che è la protagonista femminile ed è una bambina delle elementari figlia di un padre assente e di una madre in carriera che le organizza la vita secondo un’enorme tabella divisa secondo date, orari e attività da rispettare ed aspira a vederla entrare in una prestigiosa scuola della città.
Le due vivono in una casa uguale alle altre in un quartiere altrettanto uguale e grigio.Tutto è ordinario, ordinato e monotono.
Tutto tranne l’Aviatore che abita nella bizzarra casa di fianco alla loro che, a differenza delle altre, oltre ad essere più imponente è anche colorata e rispecchia il carattere del suo proprietario.
L’Aviatore è un simpatico vecchietto che tenta in tutti i modi di riaggiustare il suo areoplano caduto tanti anni prima nel Sahara.
Dopo un primo incontro tra i due in circostanze alquanto spiacevoli fa “veramente” la conoscenza di Piccola Ragazza curiosa di staccarsi dalla sua vita programmata e scoprire pian piano la storia di quel misterioso Piccolo Principe.
Tra i due nasce una profonda amicizia che presto si trasforma in un rapporto quasi familiare, si può dire infatti che la bimba veda nel vecchietto l’amore, la fantasia, la spontaneità che spesso non viene capita e la voglia di amicizia e coinvolgimento che vorrebbe vedere in sua madre.
Ad ogni loro nuovo incontro un nuovo tassello della storia viene incastrato al precedente.
Piccola Ragazza incontra così la volpe che diventerà la sua consiliera sotto forma di peluche, vede l’Ubriacone vanitoso, il Re desideroso di potere, il Mercante di stelle così avaro e incontentabile che nel corso della narrazione incontra nuovamente su un altro asteroide, quello degli adulti, sul quale arriva durante il suo viaggio alla ricerca del Piccolo Principe a seguito del ricovero in ospedale dell’Aviatore.
L’asteroide degli adulti si rivela un immenso ammasso di uffici neri e grigi dove nessun bambino può mettere piede perchè costretto a crescere con la forza.
Piccola Ragazza riesce a trovare il Piccolo Principe che nel frattempo è diventato grande e sembra aver dimenticato tutto ciò che era stato, ora lavora come spazzacamino al servizio del potente Mercante di stelle che ha rubato tutti gli astri dal cielo e li tiene nascosti in un’enorme campana di vetro.
La bambina aiutata dal Principe, che è riuscito a  ricordare,  libera le stelle scatenando lo stupore degli adulti che non le avevano mai viste, accompagna il ragazzo sul suo asteroide il B-612 dove sono cresciuti a dismisura i baobab e la sua rosa è lentamente appassita tanto da trasformarsi in polvere e fondersi nel tramonto.
Il Principe è triste di non essere riuscito a proteggerla e amarla come lei amava lui ma ad un certo punto chiude gli occhi e ricorda le parole della volpe: anche se la sua rosa era appassita, l’avrebbe vista sempre nel tramonto e sarebe vissuta con lui nel suo cuore.
Anche Piccola Ragazza ricorda le parole dette dall’Aviatore e si accorge che, anche se lui un giorno dovrà lasciarla perchè anziano, sarebbe sempre vissuto con lei e lei avrebbe sempre sentito la sua risata guardando le stelle.
Così, mano nella mano di Piccola Ragazza, il Piccolo Principe ritorna bambino e si prepara a salutare la sua nuova amica pregandola di ricordare all’Aviatore il suo nome.
La bimba ritorna a casa e, prima di entrare nella nuova scuola, va a trovare l’Aviatore all’ospedale portandogli in dono la versione rilegata da lei dei disegni del Piccolo Principe che lui le aveva donato.
Solo in quel momento la madre si accorge del rapporto speciale tra i due e non riesce a fare altro che ringraziare l’anziano.
Piccola Ragazza sa che non lo dimenticherà mai come non dimenticherà mai di essere stata la bambina che è stata.

E’ il tempo che hai perduto per la tua rosa a fare della tua rosa una cosa così importante.

Animazione e grafica fatti molto bene sia per la parte disegnata semplice della “vita di tutti i giorni” sia per quella della storia del Piccolo Principe in carta pesta.
Dialoghi abbastanza fedeli al libro ma nel compenso una buona rinterpretazione in chiave moderna molto attuale anche se attinente al romanzo.
Voto: 8