Quante volte capita nella nostra vita di tutti i giorni di imbatterci in una canzone e pensare che sia stata scritta su misura per noi pur sapendo che non è realmente così?
O quante volte sogniamo scene della nostra vita accompagnandole con sottofondi musicali?
O vi è mai capitato di imbattervi in una melodia che vi suscita qualcosa di inaspettato, che so, vi fa ridere o vi fa piangere o vi fa venir voglia di mangiare?
A me sì, tutte queste cose, in questo periodo soprattutto, forse è proprio per questo che, inconsciamente, gli ultimi libri che ho letto davano alla musica un ruolo se non centrale molto importante all’interno della storia.
Quanto è buffo questo oggettino che chiamiamo cervello, e che strane le emozioni.
Non si tratta solo di empatia, non ci mettiamo nei panni del cantante canticchiando il ritornello, succede qualcosa di diverso. É come se la musica entrasse in noi e, attraversando il nostro corpo, passando nelle nostre vene, ci sussurrasse all’orecchio “qualsiasi cosa succeda io sarò con te e ti parlerò”.
Perché è questo che fa, la musica parla alle persone, questo la rende speciale e unica.
La musica è il supereroe di tanti, me compresa.
Questa premessa per dirvi che sono assai poche le differenze tra noi, lettori, e Daniel “Danny” Yzemski, protagonista del romanzo di Michael Zadoorian intitolato proprio Beautiful Music, una delle più piacevoli scoperte dello scorso Book Pride di Genova (2018).
Daniel si ritrova a crescere nella Detroit di inizio anni ’70 caratterizzata da scontri razziali dovuti al cambiamento che sta vivendo la città. La contrapposizione tra bianchi e neri è uno dei temi che ricorrono più spesso nella narrazione e ci vengono presentati come un qualcosa di inevitabile: l’effetto collaterale della novità che porta la gente ad aver paura di ciò che non conosce, questa insicurezza porta al disprezzo e alla diffidenza che non vengono velate all’interno delle pagine ma anzi, a volte, sono sdrammatizzate in tono ironico dallo stesso Daniel. (dal libro “Mi diverte pensare che a mia madre piaccia tanto il beige, perché è bianco e marrone mischiati insieme, che è quel che non vorrebbe che accadesse nel nostro quartiere.”)
Proprio a causa di questa “rivolta esterna”, fin da quando era bambino, Danny è condannato dai suoi genitori, in particolare da sua madre, a vivere sotto una campana di vetro rintanandosi nel seminterrato a costruire modellini di automobile accompagnato solo dal suono della radio.
L’ automobile ha un duplice ruolo nella vicenda: se da un lato rappresenta un po’ l’emarginazione di Danny, dall’altro è invece il simbolo del legame con suo padre oltre che il mezzo che promuove la sua iniziazione al mondo dei vinili e dei dischi che stanno cominciando a spopolare proprio in quel periodo. Il climax della felicità di un quattordicenne americano viene raggiunto quando suo padre porta a casa il primo impianto stereo, una novità assoluta che cambierà per sempre il suo mondo.
Così, pian piano, Danny si ritrova a viaggiare attraverso generi diversi, abbandona la classica e scialba Beautiful Music, e viene a tu per tu con il rock capendo che, negli accordi di chitarre stridenti, nelle voci urlate e nei suoni non sempre precisi si nascondono canzoni pronte all’uso, adatte a descrivere ogni suo stato d’animo, il rock e il rock ’n roll diventano la colonna sonora della sua vita. Tanto che l’intero romanzo sembra una grande enciclopedia musicale di quegli anni.
Danny scopre che c’ è qualcosa nella musica che lo fa stare bene, qualcosa che appaga la sua mente e allevia le sue preoccupazioni di adolescente che deve andare in contro all’inizio del liceo ed è spaventato di quel che sarà e sente la sua vita traballare sotto i piedi.
La musica placa il cervello indomabile. (rif. a una battuta della tragedia The Morning Bride di William Congreve che dà il nome ad uno dei capitoli)
Ma, dietro la paura delle cose nuove, spesso, si celano grandi opportunità, e sarà proprio la scuola a permettergli di coltivare la passione per la radio e per la musica che pian piano diventa la chiave per riuscire a far quadrare il suo mondo oppresso da problemi che lo sembrano schiacciare come una dissolvenza.
“La musica è l’unica cosa che mi fa smettere di pensare a tutto […] E non c’entrano soltanto le parole . C’entra come la musica ci porta fuori da noi stessi, lenisce i nostri dolori, scioglie qualcosa nel nostro cuore, ci fa stare meglio in modi che non credevamo possibili”
Penso che il personaggio di Danny sia talmente riuscito da rendere difficile il non “mettersi nei suoi panni”: siamo spinti a compatirlo, ma ci viene anche da prendere le distanze quando compie determinate azioni. Danny è ognuno di noi, non per le vicende che è chiamato a vivere, ma per le emozioni che seguono questi eventi; è un personaggio vivo, dinamico, che cresce pagina dopo pagina.
Sebbene sia il protagonista, nonché narratore in prima persona, presto ci accorgiamo che l’autore, umanizzandola, ha riservato alla radio un ruolo altrettanto importante, quasi materno: in più occasioni sembra essere l’unica disposta ad una forma di dialogo, l’unica silenziosamente disponibile ad ascoltare Danny, a consigliarlo e a proteggerlo, ad ammonirlo e aiutarlo ad inserirsi nel complicato mondo degli adulti che appaiono sempre così distanti; questa lontananza si incarna nella figura della madre che è ermetica, imperscrutabile, a tratti odiosa, ma perfettamente umana nella sua debolezza rappresentata abilmente con l’incapacità di rimanere in silenzio (un tratto distintivo è la televisione sempre accesa in casa).
Infine la musica potrebbe essere definita il co-protagonista della scena in grado di salvare davvero dai guai, ma non solo da quelli. Libera la mente, rischiando però di evocare alla memoria pensieri, sensazioni e ricordi che ribaltano la medaglia facendoci sentire peggio di come stavamo prima, così può capitare di finire avvolti nella dissolvenza per un po’.
Le mie special 3 della settimana:
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