Recentemente mi è capitato di vedere una delle ultime puntate di “Otto e mezzo”, programma quotidiano di politica e approfondimento giornalistico condotto da Lilli Gruber, quest’ultima, agguerrita e sempre pronta a smuovere i vari ospiti, incalza Alessandro Di Battista, uno degli esponenti più importanti e noti del Movimento 5 Stelle che, invitato nella trasmissione, coglieva l’occasione per promuovere il suo nuovo libro “Politicamente Scorretto” in cui non risparmia critiche al panorama politico italiano, inclusi i suoi stessi compagni.
Ciò che più mi ha colpito dell’intera intervista, dove tra gli ospiti figura anche Alessandro De Angelis de “L’Huffington Post”, è la grande retorica messa in atto. Retorica che sembra essere sempre di più una delle caratteristiche fondamentali che accompagna ad ogni livello la politica. Ed è così da tempi antichissimi, basti pensare ai sofisti, maestri in questa disciplina, che molto spesso veniva usata per fini politici.
Tuttavia, calata ai giorni nostri, sembra quasi che più uno si sa “vendere bene” a parole, più attacca sul terreno fertile dell’elettorato che, spesso e volentieri, e aggiungerei in molti casi giustamente, vorrebbe che le decisioni, le leggi, il mondo parlamentare e politico si esprimesse in modo più chiaro e leggibile. A proposito di questo concetto mi viene in mente una frase del film satirico di Riccardo Milani con Claudio Bisio, “Benvenuto Presidente”, dove lui, nominato accidentalmente Presidente della Repubblica, si trova costretto a svolgere la burocrazia connessa al suo ruolo, ma studiando le leggi e non trovandole comprensibili decide di non firmarne nessuna fino a quando non saranno facilmente leggibili da un qualunque cittadino, procurandosi la standing ovation dell’intero pubblico che gli si era radunato intorno:
“Mio nonno mi ha sempre detto 'Peppino, se non capisci una cosa, non firmare!' Anche perché le leggi le hanno fatte per noi, ma se non le capiamo come facciamo a rispettarle? Anzi, sai cosa faccio io? Finché non trovo una legge chiara io non firmo una legge!”
[Benvenuto Presidente, 2013]
In questo modo però si rischia di cadere nella falsa retorica di coloro che si vogliono mostrarsi semplici nel linguaggio ma che, nel parlare e parlare, o non dicono nulla di concreto o manipolano ciò che dicono in proprio favore, e se una persona non riesce a cogliere criticamente il messaggio, finisce in un circolo vizioso di disinformazione che si autoalimenta.
Ritornando all’intervista di partenza, c’è un altro aspetto importante che sottolinea anche la scelta del mio titolo. Ad un certo punto la Gruber sprona Di Battista a considerare l’oggettiva perdita di voti dei 5 Stelle alle Elezioni Europee 2019 ottenendo come risposta un’affermazione che tende a sottolineare, a mio parere, l’instabilità del Movimento. Di Battista afferma che sia vero che loro le strategie parlamentari e alcune cose riguardanti il mondo della politica non le sappiano fare, ma tende a considerare queste mancanze come il frutto del loro giovane percorso al governo, aggiungendo poi che i membri del Movimenti si propongono “nella vasca di squali della politica italiana…” come “…brave persone che si sono rinchiuse nei Ministeri tentando di risolvere una serie di problemi”.
A questo punto Lili Gruber lo pone di fronte alla realtà dei fatti pronunciando queste testuali parole: "Lei non mi può dipingere i rappresentanti del suo partito come delle brave persone che sono un po' come 'Alice nel paese delle meraviglie': se siete così non vi candidate a governare. Studiate prima, poi forse andate al governo”.
Credo che sia importante concentrarsi proprio su quest’affermazione che, sempre secondo il mio parere, non voleva essere una semplice critica, ma un invito e un’osservazione fondamentale che riassume un concetto molto importante, ovvero che per raggiungere diverse posizioni, per ricoprire certi ruoli e, soprattutto, per amministrare uno stato con milioni di cittadini, bisogna essere competenti e preparati e non basti essere brave persone.
Non è un discorso che vuole essere discriminatorio o classista, è qualcosa che secondo me dovrebbe essere giusto, per il bene di tutti, del paese in primis: io posso essere la migliore delle persone in terra, ma se non sono in grado di fare una determinata cosa non mi propongo per farla, o se mi voglio davvero proporre e non sono preparato faccio di tutto pur di poterlo diventare, e questo implica studiare, approfondire, confrontarsi e spendere tempo e fatica per migliorare la propria conoscenza nel campo.
Questo concetto si applica perfettamente alla politica, ma potrebbe essere fatto a livello di occupazione normale: è brutto da dire, ma è vero, se uno ha le giuste carte in tavola ed è competente, arriva dove vuole arrivare, poi sicuramente incide anche la fortuna, ma è una percentuale molto bassa.
Mi viene in mente un intervento fatto al Tedx Bologna 2015 da Marcello Mancini, imprenditore ed esperto di formazione, che sottolineava l’importanza di questo paradigma: “O ti formi o ti fermi”.
È troppo facile reclamare tutto solo perché si è brave persone. Non sto affatto sostenendo la tesi di cui alcuni si fanno paladini secondo la quale chi studia, chi fa l’università ha diritto di default a posizioni agevolate e di spicco, sostengo però una sorta di principio di giustizia che fa si che, chi davvero sa, raggiunga ciò per cui ha studiato e si è specializzato, non per grado accademico o “pezzi di carta”, anche, ma perché venga riconosciuto il merito a chi ce l’ha e non si appiattisca tutto. Perché sapere e ignoranza, a livello lavorativo soprattutto, non sono e non devono essere la stessa cosa, altrimenti si alimenta l’idea che non serva fare bene, non serva impegnarsi e studiare perché tanto si può arrivare lo stesso, tutti al pari di tutti, e si svilisce il merito di chi è altrettanto “bravo”, ma ha i numeri in più, e non si vede riconosciuta questa qualità a discapito di altri.
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