Incredibile.
Perché non ci sono segni di effrazione o scasso, non ci sono tracce di fluidi corporei, il coltello appartiene alla vittima che non riesce a far combaciare le molteplici versioni che è costretta a dare alla polizia. Incredibile, perché essendo una “giovane a rischio”, con un passato difficile alle spalle, che ha cambiato numerose famiglie affidatarie, ci si aspetta di tutto per attirare un po’ l’attenzione, e il dubbio morde silenzioso l’orecchio di chi la conosce. Incredibile, perché è complicato aprire un’indagine senza avere prove effettive, senza che nessuno abbia visto nulla, è più semplice chiudere il caso il prima possibile. Incredibile, perché uno stupro è sempre difficile da accettare e ci sembra una realtà così lontana da noi che non la percepiamo come possibile finché non la proviamo o non conosciamo persone che ci sono andate vicine.
Incredibile, unbelievable, è il titolo della miniserie Netflix scritta, diretta e prodotta da Sussanah Grant, basata su fatti realmente accaduti. L’avevo addocchiata qualche giorno fa, salvo poi ritrovarmela consigliata in un gruppo Facebook di cui faccio parte, l’ho iniziata e finita nell’arco di una giornata e credo me la riguarderò al più presto per evidenziarne i più piccoli dettagli.
Non c’è un personaggio principale, ci sono tante figure che compaiono e scompaiono, le cui vite si intrecciano inevitabilmente in una fitta rete che attraversa l’intero Colorado e si estende ad altri stati americani.
È stata definita da alcuni una serie tv femminista, io toglierei questo aggettivo che sta diventando sempre di più un’etichetta, lascerei solo serie tv e consiglierei la visione a un pubblico più ampio possibile, perché la realtà dei giorni nostri pullula di situazioni simili, e di donne che non denunciano o non sono credute sentiamo spesso le storie.
Marie Adler (Kaitlyn Dever) ha diciotto anni, vive in una comunità per ragazzi che escono dal giro degli affidi e una notte viene stuprata da un misterioso uomo mascherato entrato dalla porta finestra della sua camera che l’ha legata e minacciata scattando poi alcune
foto. Rimane sconvolta ma non reagisce come gli altri si aspetterebbero, cerca di comportarsi come se nulla fosse successo,
va al lavoro come sempre, ma qualcosa in
lei si è rotto, anche se non in maniera evidente lo si può leggere nei suoi sguardi impauriti, nell’ansia di ogni piccolo rumore, nel non voler parlare di quella notte nonostante la si continui a sognare in loop. Tuttavia due delle ex madri affidatarie, quelle a cui Marie è più legata, cominciano ad avere il sospetto che la ragazza possa essersi inventata tutto e favoriscono il detective che decide di chiudere la vicenda senza troppi indugi.
foto. Rimane sconvolta ma non reagisce come gli altri si aspetterebbero, cerca di comportarsi come se nulla fosse successo,
va al lavoro come sempre, ma qualcosa in
lei si è rotto, anche se non in maniera evidente lo si può leggere nei suoi sguardi impauriti, nell’ansia di ogni piccolo rumore, nel non voler parlare di quella notte nonostante la si continui a sognare in loop. Tuttavia due delle ex madri affidatarie, quelle a cui Marie è più legata, cominciano ad avere il sospetto che la ragazza possa essersi inventata tutto e favoriscono il detective che decide di chiudere la vicenda senza troppi indugi.
Marie viene archiviata con un’accusa di falsa testimonianza a suo carico, una multa di 500$ da pagare, la libertà vigilata da rispettare e il peso di sapere di aver detto la verità ma di essersi auto-convinta di aver mentito. La storia di Marie è incredibile e lei non viene creduta nemmeno da coloro che le sono più vicini, anzi, viene additata come bugiarda e dovrà subire le conseguenze di questa condizione.
A distanza di anni, in Colorado, in due contee distinte, le detective Karen Duvall (Merrit Wever) e Grace Rasmussen (Toni Collette) vengono incaricate di due casi di aggressione sessuale molto simili tra loro, anzi pressoché identici. Non fosse che una vittima è giovane e bianca e l’altra anziana e nera si direbbe che potrebbe essere la medesima scena. Per puro caso riescono ad entrare in contatto l’una con l’altra e, mettendo insieme una squadra di collaboratori, decidono di lavorare al fine di incastrare quello che si sta dimostrando sempre di più uno stupratore seriale. Entrambe, con le sfumature di carattere che le rendono diverse, spiccano non solo per qualità lavorative, ma per doti empatiche. Sarà che forse ci sentiamo più coinvolte dal nostro punto di vista rispetto ai colleghi maschietti? O forse, sono il peso delle esperienze passate e delle conseguenze delle nostre azioni a spingerci a dare il meglio per non lasciare che il silenzio si prenda nuovamente la vita di qualcuno?
La mappa si infittisce, compaiono sempre più nomi, sempre più luoghi e dettagli utili, più piste aperte da poter seguire, più storie da indagare.
Pongono l’accento sulle scene del crimine, immacolate, sull’attenzione che l’aggressore riserva all’occultamento delle prove, nel far lavare le vittime per cancellare eventuale DNA, nella meticolosa scelta di non ripetere mai più di una aggressione nello stesso distretto, come se conoscesse molto bene le procedure d’indagine e le mancanze di comunicazione del sistema. Per questo motivo balena loro in mente l’idea che il possibile colpevole sia un poliziotto che gode di informazioni accurate e anche di una certa omertà protettiva all’interno del suo ambiente. Perché si sa, purtroppo, che non si tratta di fantascienza, ma di cose che accadono.
Incredibile diventa anche l’accusa, per niente velata, alla corruzione del sistema di polizia americano, ma che ognuno di noi può riportare nel proprio paese, dove atti di violenza, domestica e non, stupri e aggressioni ad opera di poliziotti e membri dell’arma, vengono sotterrate dagli stessi colleghi e risolte con un trasferimento da una centrale all’altra.
Terminato l’ottavo episodio ciò che mi ha invaso è stato un senso di tristezza e rabbia e un po’ di timore che possa succedere lo stesso anche a me e che, a mia volta, io non venga creduta. Per questo motivo consiglio la visione a chiunque voglia vederla, c’è bisogno di portare alla luce una realtà sempre più frequente, soprattutto negli ultimi anni, qui in Italia, dove sono notizie quasi all’ordine del giorno. Non devono rimanere notizie che nascono e muoiono in una pagina di quotidiano, dobbiamo ricordarci che si tratta di persone, e c’è bisogno, per poter agire davvero, che queste storie siano portate alla luce e raccontate.
E ci vuole un sistema che agisca a dovere in caso di denunce di violenza, e che prenda provvedimenti contro chiunque abbia comportamenti aggressivi e violenti, donna o uomo che sia. La violenza contro chiunque andrebbe condannata e smascherata, ma per farlo bisogna essere educati al rispetto degli altri e per sé, alla tempestività delle azioni di allontanamento che in alcuni casi determinano la vita o la morte. Occorre un protocollo che non rimandi.
Unbelievable è incredibile perché rispecchia la nostra società e dà fastidio, ci spinge a non credere che sia così, fa male, ma è giusto che lasci in noi questo sentimento perché è necessario per cambiare le cose.
“La tenebra non può scacciare la tenebra: solo la luce può farlo. L’odio non può scacciare l’odio: solo l’amore può farlo. L’odio moltiplica l’odio, la violenza moltiplica la violenza, la durezza moltiplica la durezza, in una spirale discendente di distruzione.”
(Martin Luther King)