Avete presente le storie dell’orrore che si raccontavano la notte, sfidando la paura dei rumori sospetti, illuminati solo dalla luce di una torcia?
Ecco, immagino che ognuno di noi ne abbia raccontato almeno una e ascoltate molte, sono tutte storie spaventose da raccontare al buio o meglio, Scary stories to tell in the Dark.
“Qualcuno crede che se ripetiamo tante volte le storie, esse diventino reali. Ci rendono ciò che siamo”
Ecco che l’orrore esce fuori dallo schermo del cinema per proiettarsi nella realtà di tutti i giorni, perché la paura spesso è più viva e reale di quanto immaginiamo.
Nella cittadina di Mill Valley, in Pennsylvania, è il 1968, e la sera di Halloween è alle porte così come le elezioni presidenziali che proiettano su tutti gli schermi il faccione di Nixon. Stella, Chuck e Auggie dopo aver sfidato a colpi di uova i bulletti del liceo, si ritrovano a scappare nel bosco in direzione di una casa abbandonata che si dice essere infestata e che un tempo era appartenuta alla famiglia dei Bellows.
Un alone di mistero avvolge il nome di questa ricca discendenza, e la leggenda narra che una delle figlie, Sarah, internata e murata viva nell’oscurità del seminterrato, racconti storie dell’orrore ai bambini attraverso il muro e che questi, poco dopo, muoiano.
Ma quanta verità c’è dietro una voce metropolitana? E poi, non bisogna fare i fifoni e credere ai fantasmi, insomma, non esistono.
Quanti di noi pensano che arrivati ad una certa età non si abbia più il diritto di avere paura dei mostri?
Se fosse così, ci sbagliamo.
Nella casa dei Bellows, Stella, ritrova il famoso libro di storie di Sarah, le parole scritte con il sangue sulle pagine ingiallite che sembrano avere il potere di attivare ciò che stanno raccontando.
“Raccontami una storia Sarah Bellows. Raccontami una storia Sarah Bellows.”
Perché le storie vivono, non sono confinate alla carta. E le storie compaiono quando meno ce lo aspettiamo e non sempre siamo in grado di fermarle.
Scary Stories To Tell In The Dark è il nuovo film di André Øvredal, regista di Troll Hunter, sceneggiato da Guillermo del Toro, dall’omonima serie di libri di Alvin Schwartz, e uscito nelle sale italiane il 24 ottobre 2019.
È una storia di mostri: immaginari e figli della paura, quanto reali e figli del nostro tempo. Il clima di provincia evidenzia caratteri sociali quali la segregazione, il razzismo esplicito e crudele, il disprezzo, la guerra in Vietnam, temi caldi sul finire degli anni sessanta.
I protagonisti sono adolescenti, amici e un po’ emarginati per la loro condizione, ma affiatati e vogliosi di rompere i soliti stereotipi legati alle tradizioni passate. Stella vuole diventare scrittrice e ha una camera tappezzata di poster e riferimenti a film dell’orrore di cui è appassionata, sembra quasi che non abbia paura di nulla e a volte si butta ingenuamente nelle cose, vive sola con suo padre dopo che la madre li ha abbandonati quando era piccola; Ramon, al contrario, è discreto e cerca di passare nell’ombra, crede alla paura reale più di quella immaginaria e ha un segreto nascosto che non può rivelare.
Ho trovato analogie e somiglianze con alcuni prodotti dell’horror contemporaneo, per esempio con It di Stephen King, probabilmente per la scelta dei protagonisti, per la paura stessa usata come strumento e arma, e per l’evoluzione e la crescita dei ragazzi. Diventare grandi e tutto ciò che ne comporta può risultare assai spaventoso e difficile da gestire.
Ho apprezzato molto l’idea della storia come entità dotata di un peso reale e una vita propria e non limitata solo ad inchiostro freddo: leggendo tra le righe possiamo pensare al peso che le parole hanno e che a volte le nostre storie, seppur inconsapevolmente, possono ferire e uccidere qualcuno per alleviare il nostro dolore.
Rimanendo perfettamente in tema Halloween, i toni gotici e dark sono evidenziati dalle atmosfere notturne, dalla spettralità e maestosità della casa che ricorda i grandi manieri delle opere ottocentesche. La notte e il buio sono grandi protagonisti, le storie, infatti, compaiono ogni sera, trascinando nell’oscurità le proprie vittime. Menzione speciale alla colonna sonora che sa spingere quando serve andando a creare un velo di souspance che ci tiene incollati alla visione.
Non è un horror come ce lo si aspetterebbe, non è un susseguirsi di scene paurose e jump scares, per cui se è questo quello che cercate non lo troverete, è un film che sa fare della paura una chiave di lettura e sa puntare sulle sue creature, frutto degli effetti speciali, per stupire lo spettatore.
I mostri sono spesso rappresentati come brutti, deformi, ingombranti e violenti, ma non sempre riusciamo a capire che sono il riflesso di una sofferenza più profonda e l’immagine della nostra stessa paura che non riusciamo a vedere, e che trova nel fare male agli altri l’unica via d’uscita per liberarsene per sempre.
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