giovedì 23 maggio 2019

Cogito Ergo Sum: sulla scuola e il pensare.


Ho sempre avuto la fortuna nella mia carriera scolastica, cosiccome in famiglia e tra gli amici, di poter discutere senza sentirmi in dovere di trattenere le mie idee o determinate posizioni a proposito di argomenti più svariati. Questo perché chiunque avesse più esperienza di me, i miei genitori e gli insegnanti/educatori in primis, mi ha sempre insegnato che i valori più importanti per affrontare al vita sono umiltà, ascolto e capacita di argomentare. Sopra questi, a tendere il filo di tutto il gioco, il pilastro fondamentale di una società democratica propriamente detta, il pensare con la propria testa. 
Quante volte, soprattutto al liceo e da mio papà, mi è stata ripetuta questa frase: “pensa con la tua testa, non farti influenzare da ciò che dice il gregge, perché spesso la massa non sostiene il vero, ma l’utile ai propri interessi”.

Potevo non essere d’accordo con qualcuno, è capitato e capiterà ancora in futuro, ma la vera fonte di crescita, soprattutto tra noi giovani, sta nel confronto, nel riconoscere che non tutto quello che pensiamo o assumiamo per vero sia realmente tale. 
Per questo motivo è utile manifestare, ma lo sarebbe altrettanto creare occasioni di dialogo e confronto tra persone che non condividono lo stesso pensiero e che, purtroppo, nella nostra era sociale, trovato come unico spazio internet, avvalendosi, in molti casi, di armi di difesa e di supremazia come l’insulto, la voce grossa, la censura e quant’altro.

Grazie alla miriade di proposte online, tempo fa mi sono imbattuta in un format su YouTube molto interessante: si chiama “Middle Ground” (terra di mezzo), realizzato dal canale Jubille, porta in scena video-dibattiti sui temi più disparati, ma anche più discussi (dal conflitto palestinese, alla questione vaccini, e allo scontro generazionale figli/genitori), permettendo a gruppi di persone, che generalmente vedremmo come opposte a prescindere, di rispondere liberamente a domande inerenti al tema. In questo modo su una domanda si possono trovare d’accordo persone appartenenti a gruppi diversi che, sia se d’accordo sia se in disaccordo, si trovano a dover fronteggiare gli altri argomentando la propria tesi, creando di fatti un’occasione fertile di crescita e d’incontro.

Il pensiero non è privato, non ci rende isole a sé stanti gli uni dagli altri, e ora che sto studiando comunicazione me ne rendo sempre più conto, certamente è soggettivo, ma riguarda anche la sfera oggettiva nell’ottica di proporre soluzioni, e migliorare la società di cui volenti o nolenti facciamo parte tutti quanti. Pensare non ha colore, non ha età, non ha e non deve avere posizione politica o ideologica nel senso che non deve limitare la possibilità di dissenso e non deve essere associato al giusto o sbagliato di una fazione: si può essere di destra o di sinistra ed essere persone calibrate, disposte a rivedere le proprie posizioni e ad affrontare le situazioni con senso critico e razionale. Cosìccome non lo si può essere affatto da entrambe le parti. In quest’ottica, pensare è ciò che mi permette di esprimere accordo su quello che dice X, ma magari, confrontandomi con un sostenitore di Y, approfondendo e lasciandomi incuriosire, posso arrivare alla conclusione che pur appoggiando X, anche un piccolo punto di ciò che dice Y può trovarmi coinvolto nonostante io generalmente sia fortemente in disaccordo con quest’ultimo.

Pensare con la mia testa è ciò che mi rende una persona a tutti gli effetti.

COGITO ERGO SUM affermava Cartesio. Il fare sanno farlo anche le macchine, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il pensare, che è proprio solo di noi umani anche se a volte ce lo scordiamo.

Quindi ben venga il confronto anche acceso, con le armi più potenti che possediamo: libri, parole, informazione, cultura.
Ben venga non essere d’accordo e protestare, a patto che si sia consapevoli del perché una cosa non ci abbia convinto.
Ben venga proteggere ed esprimere dissenso in modo educato e per crescere.
Ben venga educare noi ragazzi che il passato non è solo passato e la storia non è solo storia che non si può ripetere e rimane arginata tra quattro paginette da leggere su un libro. I “corsi e ricorsi storici” non sono solo una favoletta alla base della filosofia di Vico, la storia è passato ma può essere anche presente e condizionare il futuro in cui vivremo. E si può insegnare a conoscere la storia e a preservare la memoria storica di un paese solo con il dibattito, con un lavoro di ricordo e  di analisi critica del presente e in che luogo migliore lo si può fare se non a scuola?
Ben venga la scuola che incoraggia e aiuta il dialogo, il conflitto costruttivo, l’inclusione e che istruisce noi giovani al rispetto dell’opinione e del pensiero altrui per non obbligarci a piegarci ad un pensiero unico che appiattisce tutto.
Ben venga fermarsi, a qualsiasi età e in qualsiasi contesto sociale, e dire “non lo so” davanti a ciò che non conosciamo, o chiederci “perchè?” davanti a qualcosa che non ci convince. Se non ci poniamo dubbi, non solleviamo domande, diventiamo solo passivi e pronti ad accettare tutto quello che altri vorranno farci abbracciare.

È per questo motivo che in questi giorni, io ieri, studenti, giovani, insegnanti, siamo scesi in piazza come segno di solidarietà nei confronti dell’insegnante sospesa a Palermo per il lavoro dei suoi alunni che aveva fatto un paragone in una slide tra le passate leggi razziali del ’38 e il presente Decreto sicurezza, che ha sollevato l’attenzione anche dell’ONU per le sue posizioni ritenute a tratti contro i diritti umani.
 Eravamo lì perché uno stato dovrebbe incentivare il pensiero e il dibattito politico non esserne intimorito. E con lo stato la scuola che, anche se più vicina ad una monarchia costituzionale che ad una democrazia, ha il dovere di insegnare a pensare a 360° per essere, per quanto possibile, autonomi e immuni da strategie di persuasione che ci vorrebbero tutti uguali, seguendo le orme del Grande fratello di George Orwell(1984).

“La scuola non deve insegnare pensieri
Deve insegnare a pensare”

O Plutarco:

“I giovani non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere”


Se queste semplici frasi non vengono rispettata siamo finiti, e per citare l’amatissimo e contemporaneo “Game of Thrones” (“Il trono di spade”), “L’inverno sta arrivando” e rischiamo di non rendercene nemmeno conto.

striscione dalla manifestazione del 22/05/19 di Genova
You're not the only one - Lukas Graham

giovedì 16 maggio 2019

Oceano mare


TERRA
C’è un’idea di terra
Che accomuna il mondo.
Quella della scoperta e del rispetto.
E non può esserci rispetto dell’altro
Se non si prova a conoscerlo.
La musica tende sempre la mano verso il diverso 
Ed è la buona metafora del viaggio.
E se viaggio è scoperta
La terra ne è l’essenza
Luogo di tutti e da tutti calpestato
In rotte vicine e lontane

(Paolo Fresu - poesie jazz per cuori curiosi)

Ho navigato tanto per mari più calmi o meno, ricordo il profumo penetrante sul ponte di comando mentre passeggiavo per passare il tempo. Infinito e sfiancante tempo che sembrava non voler passare. Non mi dava tregua il ticchettio dell’orologio in tasca, lo stringevo e mi sembrava di tornare sempre al giorno della mia partenza. Quanto era passato da quella mattina? Ore, interminabili ore. Forse giorni o magari settimane, e che ne so io? Lo vorrei sapere, ma ogni giorno qui è tutto uguale, ovunque mi giri vedo solo mare. E poi mare, mare, mare e ancora mare.
Forse non sarei dovuto partire, non avrei dovuto lasciare la mia casa, i miei affetti, i ricordi sorridenti di un’infanzia passata l’altro ieri.
Ricordo la stretta di mio padre, un abbraccio durato qualche istante, carico di emozioni, paura, dubbi, carico di parole che non ci siamo detti mai. Mia madre che piangeva, io che non volevo andare, la porta chiusa alle spalle e una valigia piena.

Una sola valigia.

La mia vita chiusa tra quei ganci ed una nuova che mi sarebbe apparsa da lì a poco.
Ricordo l’agitazione, l’euforia, i documenti che non avevo mai fatto vedere a nessuno prima di quel giorno. Un passaporto che non ero sicuro di avere. Gendarmi alla dogana che mi scrutavano dall’alto, mi scostavano i lembi del cappotto. Cosa mai penseranno di trovarci è una domanda che mi assilla per tutto il tempo. Mi lasciano passare, e come me altri cento, e altri cento fino a che la nave non è piena. Facce stanche, curiose. Bambini che corrono, accenti diversi, lingue diverse. Non pensavo che in uno stesso paese si potessero parlare così tante Lingue.
Mi tolgo il cappello, saluto, agito le braccia. Cerco nella folla sulla banchina mia sorella, l’unica che è venuta proprio fino alla fine, l’unica che ha il coraggio di lasciarmi andare completamente.
Ma ho promesso che scriverò non appena arrivo, che lancerò un grido talmente forte che lo sentiranno anche loro e allora sorrideranno perché ce l’avrò fatta,. Sorrideranno perché sarò in America.
In America, uno come me, uno come i tanti he stamattina fissano il mare muti in cerca di risposte.
America. AMERICA.
Sembra una parola così lontana, un grido silenzioso che mi rimbomba in testa.

La “vita nova” scrisse Dante, è ciò che cerco io là; vita diversa da quella che ho qui, vestiti diversi, città diverse. Tutto un mondo diverso da quello che mi lascio alle spalle.

È questo quello che penso mentre il cielo imbrunire e si alza il vento, mi sbatte un po’ ovunque, non sono coperto abbastanza, ma la mia preoccupazione è il cappello. Se mi vola via poi come faccio? Non accetteranno mai uno che ha perso il cappello in mare. Me lo tolgo e lo stringo forte al petto, lo annuso, profuma di sale o sole, di sapone per i panni che si usava a casa. I profumi, gli odori, anche i peggiori, saranno ciò che mi terrà ancorato alle mie radici.
L’acqua riflette la luce pallida di uno spicchio di luna, all’orizzonte forse c’è tempesta, non vedo stelle ma bagliori.
Quanto manca? Sono stanco.
Attorno a me rumori concitati, gente che sale e scende scale, cominciano i pianti.
Cosa succede? Moriremo qui? Su questa barca carica di sogni e di speranze?
Un tuono mi smuove dentro. Tremo e sento gli occhi inumidirsi.
I bambini si stringono alle madri che cercano di consolarli.
Dove sei mamma? Perché sono solo in questo mare, solo insieme ad altre centinaia di persone sole. Vorrei qualcuno ad abbracciarmi.
Schizzi salati saltano e mi bagnano i piedi, il mare si sta ingrossando, si agita e noi con lui.
Una schiera di anime mi affianca, sento gli uomini bofonchiare tra loro, si offrono una sigaretta. Ridono, o meglio, sorridono. Cosa c’è di così bello nell’affrontare la morte con il sorriso?
Io non voglio morire. Lo penso ad alta voce, uno di quelli si gira e mi offre un mozzicone malandato. Morire? E perché mai dovremmo morire proprio ora che siamo arrivati?

TERRA!
Sento ruggire da lontano.
TERRA!
Lacrime calde mi accarezzano le guance glabre.
TERRA!
Si scatena l’agitazione più totale. Le donne agitano i fazzoletti in direzione sconosciuta. Si levano le mani al cielo, da destra a sinistra. Si prega il Dio che ci ha fatto arrivare dopo tanto tanto tanto mare.

Eccola là, una lingua sottile più scura della notte, e migliaia di finestre illuminate a giorno come lucciole. Il faro ci guida sicuro in porto.

Terra, sussurro, e il mio pensiero corre a casa. L’America è davanti a me e, domani o tra qualche ora, ci poserò sopra i piedi anche io.

Vita nuova mi aspetta ion terra straniera, 
Gente che parte e non tornerà più indietro. Lo pensiamo tutti.
Vita nuova, cominciata su questa nave, tra l’ondeggiare e ondeggiare del mare. E la speranza che trabocca dal cuore di ognuno.
Vita nuova, ci divide su due file, un passo avanti ed uno indietro. Dottori in camice bianco, polizia che parla difficile, io non capisco e ho paura.
Vita nuova, Ellis Island, comincia da esule della mia terra e finisce come parte di qualcosa.

Vita nuova, mi aspettavo tutto, ma quanta fatica mi ci vuole, non vado bene, peso poco, sono malato, sporco, sono un criminale? Me lo chiedo anche io. Scappato da casa per qualcosa che non avevo e ora sono qui con niente in mano. Solo con un pezzo di carta e un braccio che mi indica di proseguire dritto lungo la strada che entra in città.

Vita nuova, mamma, tu che non mi avresti voluto lasciare partire, ora guardami con le bretelle nuove e un sorriso felice.

Vita nuova, papà, non sai quanto mi pesi essere italiano.




Woodkid: Land of All






sabato 11 maggio 2019

Quattro chiacchiere con i Santamaria: musica, progetti futuri e risate

I Santamaria sono una band punk di Genova composta da quattro ragazzi: Giuseppe, Gabriel, Ian e Danilo che ho avuto il piacere di incontrare e con cui ho scambiato quattro chiacchiere, tra musica, passioni e opinioni sull’ambiente underground genovese. 
Vi invitano al loro live, il 25 Maggio 2019, al lsoa Buridda, per il lancio del loro album d’esordio. 
  1. Com’è nata la band e perché vi chiamate Santamaria?
È nata l’anno scorso per caso, perché avevamo un altro gruppo a parte sempre noi tre (Ian, Gabriel e Giuseppe). Abbiamo detto facciamone uno serio, abbiamo lasciato le rispettive vecchie band e ci siamo messi insieme. Ho chiesto Giuse e ad Ian e mi hanno detto va bene, ho beccato Danilo in facoltà e gli ho chiesto se volesse fare il bassista in un gruppo e lui ha accettato. Inizialmente avevamo pensato di fare uno stile punk diverso rispetto a quello attuale, avevo mandato loro alcune tracce. Per quanto riguarda il nome, nessuno aveva idee, io ho detto Santamaria così a caso. Suonava bene e ci è piaciuto, Il bello è che l’ho semplicemente scritto sul gruppo whatsapp ed andava bene così. Piace a tutti, e quando nessuno ci conosceva, ci dicevano “però, bel nome!”

2) Tre parole per descrivere la vostra band?

A detta loro: sole, cuore e amore. E stupida tra parentesi.

3) Com’è stato registrare questo album? Avevate mai registrato prima? 

“Io avevo registrato un pezzo con una band, però tutta un’altra cosa” dice Giuseppe, il batterista. Come Santamaria abbiamo registrato 2 pezzi per conto nostro, giusto per provare, prima di prendere seriamente l’idea di incidere un album. “Poi tutto è nato da un live dell’altro gruppo dove suonavamo, c’era lui (Gabriel) tra il pubblico e gli ho detto di salire” attacca Ian, uno dei chitarristi. “era finito il concerto e abbiamo fatto quella che sarebbe diventata la nostra prima canzone, arrangiandoci un po’ ed è piaciuta. Piano piano abbiamo, continuando a suonare live, ci siamo fatti conoscere”. Da lì la Flamingo (etichetta indipendente che possiede anche uno store in piazza delle Vigne) ci ha notato e  ci ha proposto di produrci il cd.

4) Quanto è importante per una band underground come voi suonare live?

Suonare live è tutto perché ti fai conoscere, poi come viene viene, cerchiamo sempre di suonare al meglio ma a volte può succedere di non riuscirci. A Genova non puoi esibirti troppo spesso peoichè la gente ai concerti è sempre quella e si rischia che non ti vengano più a sentire.

5) Se dovete suonare in un locale, vi contattano loro o siete voi a proporvi?

Ora sì, ci contattano loro, però all’inizio era brutto, perché pensavamo che bastasse scrivere alla gente. Alla fine però non si faceva avanti nessuno. Il primo live che abbiamo fatto è stato ai Bagni Liggia, in una serata assurda: abbiamo aperto ai Labradors (erano la guest band insieme agli Endrigo), una band punk veramente brava che ha aperto il concerto anche ai Fidlar che sono famosissimi, già lì è salita l’autostima e l’emozione. La live in realtà è stata un po’ un flop, non la riusciamo più a vedere però da lì hanno cominciato a contattarci e noi continuavamo a farci conoscere anche tramite facebook

6) Eventi prossimi?

Suoniamo al Buridda il 25 maggio, all’Adescite spring fest. Release party del nostro album. E siamo molto contenti di parteciparvi perché è il simbolo dell’underground a Genova.

7) Quali sono i vostri riferimenti musicali?

Ognuno ascolta musica diversa, tutti abbiamo una buona base musicale, gli album considerati monoliti li conosciamo, molto dipende da cosa stai ascoltando in quel momento. Ci dicono che suoniamo un po’ come Descendents, come NOFX e come gli Husker du. Però alla fine non è che il disco l’abbiamo fatto ispirandoci a loro, è nato proprio così.

8) Come descrivereste il punk ad una persona che non l’ ha mai sentito? Cos’è in generale e cos’è per voi?

Sentimentale, casino e unione. È una musica che unisce sia dalla parte più leggera, il punk-pop, sia dalla parte più “cattiva” con l’hardcore- punk. Quando sei lì in mezzo alla mischia, alla fine si è tutti amici.

9) Quanto è importante avere dei luoghi che promuovano giovani artisti come voi?

È importantissimo. Suoniamo spessissimo nei centri sociali. Non c’è discriminazione di alcun tipo, si è sempre nell’inclusione. Tutte le cose che fanno sono per il bene della comunità. E la musica è una di queste, unisce e fa bene. Alla fine, spesso, questa storia dei centri sociali che sono un posto da chiudere viene detta da chi non c’è mai stato.

10) Avete suonato allo Zapata che per molti a  Sampierdarena è il simbolo della “negatività” del quartiere tanto da volerlo chiudere. Viene visto come portatore di disordine in quanto centro sociale, cosa ne pensate?

Non è vero, certo, noi alcune idee politiche non le condividiamo. Ci sono i più moderati e i meno moderati. La musica è tra le attività principali dello Zapata e di tutti i centri sociali. Alla fine il centro sociale è diventato l’unico luogo che permette di esibirsi ad artisti emergenti. “Anche solo la Jam il giovedì sera che include tutto e tutti i tipi di genere. Da’ spazio alla musica e allo stare insieme” afferma Gabriel, cantante e chitarrista.

Se volessero chiudere i centri sociali, dove potrebbero andare band come noi a suonare?

Ascoltateli e seguiteli!
Turkey andate a vederla su youtube.

lunedì 6 maggio 2019

Danza la vita e impara ad ascoltarti

Danza e musica viaggiano lungo lo stesso binario: se qualcosa a parole non viene espresso bene lo si può completare con le note, se le note non bastano esistono i passi.

Il movimento incanala il sentimento. Lento o veloce, disordinato e confuso oppure perfettamente regolato e preciso. Attraverso il corpo moduliamo l'intensità degli sguardi e, molto spesso, il peso delle frasi che ascoltiamo in cuffia diventa il peso di braccia e gambe.

Mi piacerebbe, allo stesso modo in cui faccio scrivendo, riuscire ad esprimere me stessa attraverso la danza perché sinceramente mi sento incapace di farlo, mi blocco quando ne avrei la possibilità. Forse per vergogna, forse per paura di un giudizio,  forse semplice per mancanza di pratica.
Ma nessuno dovrebbe insegnarmi ad esprimere i sentimenti mentre faccio qualcosa, dovrebbe uscire da me e basta. Invece restano congelati al loro posto.

A livello teorico, in testa, penso spesso a come vorrei buttare fuori me stessa, ascoltando certe canzoni e guardando gli altri ballare. E' come se mi parlassero e io non riuscissi ad ascoltarle fino in fondo.

Ci sono coreografie e musiche cha hanno questo potere enorme, comunicano, ti entrano sotto la pelle. Emozionano proprio, perché creano un sottile legame, un filo rosso, che ti costringe a seguirli attentamente con lo sguardo perché ogni singolo dettaglio è un passo in più per capire e connetterti con chi è coinvolto direttamente..

L'arte commuove.
Le canzoni commuovono.
Coreografie commuovono.

Io, per esempio, in questo periodo sto adorando la danza contemporanea e moderna e l'hiphop meno duro, la parte più melodica e delicata nonostante sia molto diversa dallo stile che faccio. Mi piace chi riesce a raccontarmi una storia e a farmi dimenticare che si tratti di finzione.
Mi sembra che la combo musica/danza sia una valvola di sfogo perfetta. Trovo collegamenti con me stessa ovunque.

Un abbraccio. Una capriola. Una chitarra ruggente, un colpo di batteria improvviso, una melodia che mi si cuce addosso.

Halsey, cantante statunitense classe '94, è un esempio di come stare su un palco non significhi solo sgolarsi in vocalizzi da paura ma anche connettersi con il proprio pubblico. La sua voce mi arriva evocativa e sensuale, i suoi testi mi incuriosiscono, una canzone tira l'altra.

Jade Chynoweth, classe '98, è invece una delle mie ballerine preferite in assoluto. Espressiva, versatile, ipnotizzante, una di quelle che starei delle ore a guardare.

Musica e danza, grazie a loro, si sono fuse perfettamente in un passo a due dolce, intenso, contemporaneo, ideato da Janelle Ginestra e Willdabeast Adams.
Sulle note di "Without Me" hanno raccontato una relazione agli sgoccioli. Sono rimasta impressionata dalla potenza dei loro sguardi, la bravura di entrambe, dovuta anche alla loro natura di performer, è stata quella di non snaturarlo, ma anzi di renderlo ancora più umano e credibile. Cosa non facile se non sei abituato a condividere un pezzo con un altro, e questo vale sia in campo musicale che nella danza.
Per impersonare bene la propria parte, bisogna giocarsela un po' da attori.


Il dolore lo hanno reso espressivo
Il tocco lo hanno reso reale







Danza la vita e impara ad ascoltarti e ad ascoltare.

[ Per motivi di copyright non posso aggiungere al post il video, lo lascio a questo link Without me- Halsey ft Jade ]


Un'esplosione speciale.
E questo è il potere dell'arte e della danza.
Ballo per un bisogno di scoprirmi, conoscermi.

E come ha detto Kenzo Alvarez, ad uno stage a cui ho avuto il piacere di partecipare, "Attraverso la danza io posso esprimere ciò che la musica che sto ballando significa per me a voi, e voi dovete restituire a me il senso che ha per voi. Se non fosse così, sarebbe solamente eseguire."