martedì 20 agosto 2019

Luce d'estate ed è subito notte di Jón Kalman Stefánsson


“L’uomo è un essere complesso, una sorta di labirinto, ed è facile smarrirsi se ci si inoltra per cercare spiegazioni”

Chi siamo? Perché viviamo? Perché il cielo è azzurro e il mare mosso? Perché nonostante tutto sono felice? O Perché, anche se me ne vado di casa, resto triste lo stesso?

Troppe volte nel corso del tempo ci poniamo almeno una di queste domande che riguardano noi stessi nel modo più primitivo e complesso possibile. Soprattutto nella giovinezza e nella vecchiaia, sentiamo frullare in testa il bisogno impellente di trovarvi una risposta per rincuorarci. Da un lato abbiamo paura di cominciare a vivere realmente sulle nostre gambe, il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta è un passo talmente lungo ed importante da fare che genera in noi numerosi dubbi. Sarò capace? Starò bene? Sarò felice?
Dall’altro lato troviamo nuovamente paura, paura dell’ignoto che si avvicina, paura di invecchiare e di scomparire. Sentiamo crescere in noi il timore di soffrire, l’ansia di essere abbandonati, la possibilità di perdere gli amici di una vita lungo la strada, il sopraggiungere della morte.

Tutta la nostra vita è costellata di domande che formano la nostra persona. Ne parlava più di un secolo fa Giacomo Leopardi, che secondo me può essere considerato oltre che un romantico, l’emblema della poesia introspettiva. Il suo “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” altro non è che il percorso interiore di un uomo qualunque, un povero, uno come tutti, proprio a significare che chiedersi il senso della vita non sia solo opera degli “studiati”.

“Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi?
dimmi: ove tende questo vagar mio breve, Il tuo corso immortale?”
Canto notturno di un pastore errante dell’Asia — Giacomo Leopardi, 1829

Ed è di quasi 200 anni fa il “Dialogo tra la Natura e l’islandese”, una delle Operette Morali più celebri di Leopardi. 
Il libro che sto andando a proporvi è più recente, ma racconta una storia che è molto simile a quella precedentemente citata. “Luce d’estate ed è subito notte”, con il quale l’autore, Jón Kalman Stefánsson, ha vinto il Premio del Consiglio Nordico, si propone come un Leopardi 2.0 dell’epoca moderna in cui, seppur a volte troppo presi dalla monotonia delle giornate e dalle comodità delle tecnologie, riusciamo ancora a stupirci quando meno ce lo aspettiamo.

Siamo in Islanda, terra di ghiaccio e di fuoco, terra di inverni lunghi, bui, freddi e profondi, e di estati che sembrano durare come un battito di ciglia a confronto. Ci troviamo ad attraversare le stradine e i luoghi di questo piccolo paese accompagnati dalla voce narrante dei suoi stessi abitanti che piano piano, come a voler mantenere quel velo di silenzio proprio di quei luoghi, ci fanno conoscere le loro storie. Vicende normali di persone qualsiasi, d’altronde non succede mai nulla di straordinario nella vita dei paesani, nulla degno di nota. E se succede, tutti sanno subito tutto.
All’improvviso però si rompono gli equilibri, il direttore del Maglificio, uomo illustre, responsabile, ligio al lavoro e fedele a moglie e figli, fa un sogno in latino che scatena in lui una curiosità smaniosa di imparare quella lingua per decifrare il messaggio notturno stravolgendo la sua vita e diventando astronomo. Questo evento dà il via ad una serie di conseguenze. Il paese comincia a vivere, la notte non è più solo buio ma diventa occasione di incontro, rifugio segreto per amanti, protettrice di bevitori e sognatori. L’intera narrazione è scandita dall’alternarsi e dall’incastro dei personaggi, dalle loro emozioni, dai loro pensieri, a volte carichi di gioia e speranza, a volte pieni di rabbia, paura, insofferenza che li conduce alla morte, perché la notte dà spazio alla mente per viaggiare riportando a galla ombre che non si possono chiudere in un armadio.
Le strade si incrociano, le voci si perdono nella felicità di un istante. Ma cos’è felicità? Come posso raggiungerla e tenermela stretta al petto?
Perché ho bisogno di sbirciare tutta la posta che arriva, si sarà domandata Agusta, la postina, è forse per un mio bisogno di vivere? 
Perché ho paura dei fantasmi, si sarà chiesto Davið. Perché tradire mi fa stare così bene anche se sbagliato, frulla in testa a Kjartan, è forse perché ho bisogno di essere amato?

Stefánsson descrive amabilmente l’essere umano in tutte le sue sfaccettature rendendolo vivo, pulsante e creando un legame con il lettore che tiene incollati fino all’ultima pagina nonostante l’impronta filosofica potrebbe scoraggiare i più. I suoi personaggi non aspirano ad essere altro che persone qualsiasi, e forse questo rende facilmente possibile l’immedesimazione e anche la comprensione dei loro atteggiamenti e delle loro scelte. Vengono sottolineate l’importanza del silenzio, così prezioso e sfuggente, e della risata, capace di alleviare ferite profonde. L’autore, inoltre, mantiene un occhio critico riguardo la società, che qui è analizzata nel microcosmo del paese.

“Siamo allo sbando, ci hanno strappato la terra sotto i piedi, stiamo appesi nel vuoto, e non è un pensiero incoraggiante. Sai anche se continuiamo a vivere come abbiamo fatto finora, e adesso parliamo dell’umanità intera — a volte facciamo grossi salti — se non cambiamo il nostro modo di vivere, fin nella quotidianità, per noi arriverà la fine. Ci priveremo della vita stessa. Siamo il giudice, il boia e il condannato legato al palo. Eppure continuiamo a vivere come se niente fosse più scontato.”

Stefánsson  non risparmia nessuno, mettendo il lettore di fronte alla realtà di mondo che vive e palesando che le situazioni non sono circoscritte al piccolo, ma estese all’umanità intera.

“Ovviamente ti chiederai come sia possibile al giorno d’oggi, con l’odore acre che si leva dalla nostra cultura, quasi non riusciamo a salire su un aereo o su un treno senza aver paura di saltare in aria, le telecamere sorvegliano le strade, sono sempre meno quelli che trovano un motivo per andare a votare e alla nostra democrazia cominciano a marcire le zampe — com’è dunque possibile che un camionista sia così felice da non avere ombre? ”

Per me in particolare, è stato un libro utile dal punto di vista emotivo. Pagina dopo pagina la mia domanda era: “Se questo libro mi stesse aiutando a vivere meglio la mia vita sarebbe possibile?”.
Ovviamente non ho trovato risposta. Ma ho provato ad attribuire un senso ai miei dubbi.

Come si sopravvive alle cose brutte?
Come si esterna il dolore anche quando è difficile parlarne?
Come si piange?

“Sono molte le cose che non capiamo, oltre ad avere la cattiva abitudine di fare domande che ci strappano i vestiti di dosso fino a lasciarci nudi e indifesi di fronte al mondo”

Tornando a Leopardi e concludendo, ci possiamo ritrovare tutti nei panni del Pastore errante, o nei panni dell’Islandese che fugge la natura per poi ritrovarsela di fronte. Ci tormentiamo per cercare il senso della vita, il mistero delle coincidenze. Tutti noi uomini sentiamo nostro il desiderio di mistero dell’ignoto più di qualsiasi altra cosa.

Forse è per questo motivo che alla domanda “Perché viviamo?” non abbiamo ancora trovato risposta.





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