“Si son presi il nostro cuore sotto
una coperta scura
sotto una luna
morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di
vent'anni
occhi turchini e
giacca uguale
fu un generale di
vent'anni figlio di un temporale
C'è un dollaro
d'argento sul fondo del Sand Creek”
C' è un sottile velo invisibile che
separa arte e realtà e un filo altrettanto invisibile che può
tenere uniti passato, presente e futuro e può permetterci di trovare
accostamenti reali tra cose che a prima impressione ci sembrano
distanti anni luce. In questo, come in molti altri casi, è la musica
la leva conduttrice di questa mia analisi, nata spontanea durante un
viaggio di ritorno che mi ha concesso tanto tempo per pensare. In
vista dei recenti avvenimenti, sia italiani che non, ringrazio la mia
playlist Spotify per avermi aiutato in questo mio piccolo viaggio.
De Andrè scrisse questa canzone per
ricordare il massacro che gli americani fecero a danno degli indiani
d'America delle popolazioni Cheyenne e Arapaho intorno al 1864. Sono
passati più di 150 anni da quel giorno, ma possiamo leggere le
parole di questa canzone in chiave contemporanea calandola ai giorni
nostri e ai vari tumulti politici, sociali e ambientali che il nostro
mondo sta attraversando. Ci sono persone, da ogni dove, che non
esiterebbero un attimo a fare di quella violenza il proprio slogan
politico per raggiungere consenso, gloria personale e soddisfazione
dei propri interessi: basti pensare alla folle presunzione del
presidente brasiliano Bolsonaro che considera la foresta Amazzonica
non un bene dell'umanità, ma un possedimento esclusivo del Brasile.
Basta un niente. Chiudere troppo gli
occhi su quello che ci circonda per fare il gioco di questi furbi ci
condurrà, pian piano, a diventare i “bambini che dormono sul fondo
del Sand Creek”.
Il Sand Creek è il mondo che ognuno di
noi vive, calpesta, respira e che a nostra volta contribuiamo a
cambiare, i bambini che dormono siamo noi, senza più speranza,
esanimi. Nella canzone si parla di vera e propria morte fisica, in
questa mia analisi invece è più logico parlare di morte morale, anche se i nostri comportamenti comporteranno la morte fisica di moltissime persone nella nostra grandissima indifferenza.
Noi
bambini, addormentati dalla paura del buio, del vuoto, dalla paura di
uscire di casa e incontrare altri simili, arrabbiati e delusi da
aspettative e promesse non mantenute, saremo le vittime perfette per
chi vuole prendersi il nostro cuore sotto una coperta scura di
silenzio e consenso che ci pentiremo di aver dato. E tutto questo
l'avremmo fatto per un dollaro d'argento, qualcosa che sul momento
può farci comodo, ma che alla lunga si rileva inutile e poco
fertile.
Ma quando ce ne accorgeremo potrebbe
essere troppo tardi perché il villaggio rischierebbe di essere messo
a ferro e fuoco. L'effetto collaterale che si può produrre è il non
comprendere i segnali, non dare il giusto peso alle frasi come se le
parole non contassero nulla, allontanare i campanelli d'allarme, o
peggio, credere di essere sicuri ed essere colti alla sprovvista
proprio quando “i nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del
bisonte” sono impegnati a procurarci da mangiare dando priorità
alla sussistenza e lasciando scoperto il villaggio.
Illuderci non risolverà i problemi, li
allontanerà solo parzialmente e per proteggerci ci porterà ad
auto-ingannarci (“Chiesi a mio nonno è solo un sogno e mio nonno
disse sì”), pensando che tutta l'instabilità e il pericolo che
stiamo vivendo non sia altro che un sogno, un brutto sogno da cui ci
risveglieremo al mattino.
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